Telefono:colore nell’ambiente

Ho visitato la mostra “Regioni e Testimonianze d’Italia” a Valle Giulia, una delle tante iniziative per festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Figlio del boom economico, ho ritrovato parte della storia d’Italia della quale anche io sono stato partecipe. Tra testimonianze fotografiche del disastro del Vajont e del terremoto in Friuli, sono precipitato in un passato che ha risvegliato in me momenti molto belli della mia infanzia e adolescenza, quando avvertivo che il mondo stava cambiando e vedevo i miei genitori che si adeguavano ai nuovi modelli di vita proposti dalla rinascita del dopoguerra. La Telecom ha presentato la storia della nostra vita attraverso l’evoluzione dell’apparecchio telefonico. Pannelli con telefoni di tutte le fogge e i colori presentano una società italiana in cui la comunicazione via cavo era, ormai, alla portata di tutti e il telefono era un simbolo di progresso e benessere conquistato entrando a fare parte, a pieno titolo, degli elementi di arredo nelle nostre case. Ancora oggi a casa mia uso “reperti” di questo tipo quando telefono: nell’ingresso ho il “grigione” -Bigrigio-; in camera da letto un apparecchio in bachelite nera e in cucina ho il telefono a muro. Il piccolo cord-less non riesce a tenere il confronto con la presenza di questi protagonisti che ancora danno un senso ad una telefonata. Mi sono sorpreso a pensare al mio modo di usare il telefono a casa. Non ho l’abitudine barbara di girare per casa con il cord-less. Anzi! Ho notato che non lo uso mai. Ancora ho i miei spazi per le mie conversazioni telefoniche: in camera da letto tengo le mie telefonate amichevoli da chiacchiera e confidenze, comodamente sdraiato sul letto; in soggiorno la telefonata di lavoro o più sbrigativa; in cucina la telefonata presa al volo mentre si sta cucinando o svolgendo qualche altro lavoretto. E poi ho la “telefonata Zen”: quella che faccio componendo il numero uno alla volta facendo ruotare il disco dell’apparecchio ricordando a memoria il numero. Operazione lentissima, che esercita alla pazienza  e che mette a dura prova chi freneticamente è abituato a telefonare digitando un solo numero e la telefonata parte. Credo di essere ormai l’unico a ritagliarsi –per abitudine- questi momenti che ormai non appartengono più a nessuno. Ancora ragazzino, nelle case il telefono era appeso al muro nel corridoio o nell’ingresso e si telefonava stando in piedi: la telefonata era concisa e breve, il costo della bolletta si faceva sentire. Esisteva il duplex: due famiglie pagavano il canone in comune e ci si doveva relazionare bene e rispettare per dare all’altro la possibilità di telefonare. Poi, con orrore, ho visto nelle case più “borghesi” quella poltroncina da telefono: ci si poteva sedere e l’apparecchio, rigorosamente bianco, era poggiato su una mensolina. E che dire poi di quei vestitini con cui si ricopriva il telefono per personalizzarlo con l’arredo? Questo orrore finì, quando negli anni ’70, il telefono diventò a colori –mentre la televisione era ancora in bianco e nero- dalle molteplici forme. Geniale il “Cobra” che nascondeva il disco sotto la base. Il massimo era avere il filo della prolunga che permetteva di potersi spostare in un’altra stanza o muoversi mentre si parlava. La presa telefonica era una poiché il canone della SIP si pagava secondo quante prese erano in casa. La telefonata era un momento riservato: una corretta educazione voleva che nessuno potesse  essere disturbato quando si era al telefono e c’erano orari precisi per chiamare: mai a pranzo o dopo le otto di sera. Anche fuori casa ci si chiudeva in cabine insonorizzate, dove si moriva dal caldo, per avere un po’ di privacy. Altri Tempi! Come spiegarlo oggi al mio vicino che urla in terrazza tutti i fatti suoi, quando parla con la suocera, al telefono?





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