cucinare … una passione
La relazione tra le persone avviene attraverso il cibo come attraverso la sessualità. Il cibo è qualcosa di cui si deve avere cura perché è dalla tavola che riceviamo le lezioni e gli insegnamenti più alti. Nella vita contemporanea per molti il cibo è diventato come un carburante e la tavola un arredo su cui posare quello che si consuma. E’ sempre più difficile trovare persone che mangiano insieme, magari mangiano accanto, ma non insieme. Ma quando un tavolo –un ripiano di appoggio- diventa Tavola? L’ambiente della cucina è un’officina che ha il pregio di unire ciò che dalla natura giunge a noi separato, trasformandolo in modo che la natura sia strettamente relazionata alla cultura. In cucina abbiamo imparato ciò che è buono e ciò che è cattivo: ciò che va assunto per migliorare la nostra condizione fisica e ciò che va rifiutato perché fa male. Da qui dipenderanno le nostre scelte di vita. Cucinare è un atto di Amore che la società contemporanea continuamente svilisce ed attacca. Si lavora troppe ore al giorno e il momento della spesa e del cucinare sembrano essere un limite per la nostra libertà, senza rendersi conto che il momento del cucinare è finalmente il premio per la giornata. Ritirarsi in silenzio in cucina per preparare un piccolo pasto per chi vive con noi è un momento molto intimo in cui si trova lo spazio per sé e per le riflessioni personali; un momento in cui parlare con chi ti è accanto. Cucinare è un atto di Amore perché è Accoglienza. Un gruppo di amici si riunisce per cucinare insieme e parlare e discutere. Bellissima la scena del film “Il grande freddo” dove un gruppo di ex compagni di scuola, ormai adulti, cucina e prepara la tavola insieme, quasi fosse un rapporto fisico che va ben oltre il solo cucinare. Oppure il gruppo di amici rappresentato nel film “Saturno contro” che, nelle sere passate insieme a cucinare, si ritrova come una grande famiglia.
Nel progettare gli interni diamo molto valore alla superficie che interessa lo “spazio cucina”. La domanda che spesso sentiamo rivolgerci è :”Ma la cucina deve essere chiusa o aperta?” Noi non sappiamo cosa rispondere, perché è una domanda senza senso. Ridicole quelle soluzioni che separano la zona pranzo dalla zona soggiorno con un gradino o con un gioco di controsoffitto che “fanno tanto architetto”. Non esiste una risposta univoca; la cucina rappresenta la personalità di chi vive la casa. Nelle nostre case, con lo stile di vita che si conduce, è naturale considerare la cucina come spazio aperto al soggiorno, allontanandosi dalla triste logica dell’angolo cottura. Ormai le funzioni si integrano. Superiamo il concetto che lì si cucina, e là si mangia. Espressione del superamento di questo concetto è l’idea Gessi che introduce un elegante lavello con un rubinetto “Goccia” incorporato al tavolo del soggiorno annullando così la netta distinzione tra il luogo dove si mangia e quello dove si cucina. Questa è un’autentica Tavola dove tutti sono presenti al rito del cibo, ci si guarda negli occhi e ci si confronta. Mai suggeriamo di avere la televisione in cucina, dove si rischia di stare seduti a tavola in solitudine perché tutti catturati dal magico schermo o, peggio ancora, si parla con questo rumore di sottofondo che continuamente attira la nostra attenzione. La cucina è il focolare della casa, è il cuore dove ci si dice “Ti voglio bene”. Noi non la progettiamo mai come uno spazio chiuso, in cui si entra e si esce da una sola porta. E’ uno spazio aperto, anche se separato, che si attraversa. E’ uno spazio dinamico, osiamo dire democratico. Non capiamo quelle persone che quando cucinano si chiudono dentro e non vogliono essere viste mentre sono intente ai fornelli quando tutti gli altri sono “di là”…. che cosa hanno da nascondere?
A questo proposito ricordiamo il film “Le fate ignoranti” dove la doppia personalità del protagonista lo portava ad essere molto fuori dalla cucina quando era con sua moglie e un appassionato cuoco quando cucinava per l’amante e i suoi amici.
Ciao Marina, sono Iolanda, amica di Angelamaria e ci siamo conosciute già tanto tempo fa. E’ con piacere che ho letto il tuo articolo e le tue riflessioni sul cibo, la cucina e il cucinare. Condivido la funzione relazionale e affettiva del cibo nonché il fatto che il luogo cucina debba essere centrale all’interno della casa.
La nostra cucina è aperta e consente il passaggio tra il soggiorno-resto della casa e il fuori, inteso come affaccio nel verde ed in particolare orto sottostante. Esperienza mistica!
Voglio infine ricordare un film delicato e per me illuminante che è “Il pranzo di Babette”.
Grazie ancora….
Ciao Iolanda, bellissimo “Il pranzo di Babette”. Rappresenta perfettamente l’atto di amore che è presente nel cucinare per gli altri. Fantastica l’organizzazione del pranzo che dà importanza ad ogni dettaglio, la cura nella scelta delle porcellane e dei cristalli dei bicchieri per poter meglio apprezzare il pasto e lo stare bene a tavola. Non ho mai bevuto il brodo di tartaruga…ma mi fido del fatto che sicuramente sarà sublime. Grazie a te per il confronto, il blog è un motivo per tenerci in contatto.
Ciao Massimo, lo faccio con molto piacere!
Se è vero che noi siamo anche quello che mangiamo e che il nostro stile di vita, compreso quello alimentare, incide sull’architettura del nostro pianeta, credo che dovremmo dedicarci con attenzione e pazienza alla ricerca dei prodotti che consumiamo. La ricerca non si può fare solo “dentro” il supermercato ma deve inevitabilmente partire da molto più lontano.
Il processo che porta il cibo (crudo o cotto che sia) dentro la nostra busta della spesa, può passare per le mani di molte persone ed è quindi bene innanzi tutto imparare a conoscerlo, a capire ogni prodotto che strada ha fatto, approfondendo i passaggi ed i trattamenti che la tracciabilità prevista per legge non sempre dice, cercare di rintracciare per quanto possibile chi ci ha “messo le mani sopra”.
Un secondo aspetto è quello del rispetto di chi “lavora” il nostro cibo. Una recentissima ricerca dell’organizzazione no profit Slavery Footprint, ha messo in luce che circa 27 milioni di persone sono praticamente ridotte in schiavitù per produrre tutto quello che abbiamo in casa non solo riguardo al cibo ma anche ai beni materiali che utilizziamo quotidianamente (leggi l’articolo di Repubblica: http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2011/11/01/news/schiavitu_moderna-24252461/?ref=HREC2-4 )
C’è poi l’impatto che i nostri consumi hanno sull’ambiente. Ho in mente le colline intorno alla città di Pachino che ho visitato un paio di anni fa: sono un’immensa distesa di celofan che ricopre tutto. Kilometri e kilometri di serre che si estendono in ogni direzione per produrre l’oro rosso della Sicilia. Quanto potrà andare avanti uno sfruttamento del genere e cosa resterà quando la terra non darà più frutto? A tal proposito se avete tempo vi consigli di vedere un breve video, sintesi dell’incontro “La Terra non è infinita” il cui relatore, Marco Duriavig, professore di Sistemi Informativi Ambientali all’Università di Trieste racconta in modo semplice come stiamo consumando la nostra terra: http://www.youtube.com/watch?v=ThHRlcHk-Dc .
Una certa rilevanza ha anche la fonte di approvvigionamento energetico che l’azienda che coltiva/alleva i nostri prodotti ha scelto di utilizzare: tradizionale o rinnovabile.
Poi ovviamente c’è la questione del biologico su cui si dibatte tra favorevoli e contrari, sostenitori e delatori. Se riduciamo la discussione al solo aspetto “il biologico fa più bene alla salute del non biologico?” è ovviamente molto riduttivo e forse diventa strumentale indagare sul rapporto c’è tra il prodotto finito e la mia salute. Dietro alla produzione, specialmente quella intensiva fatta lontano dal luogo di consumo, esiste un processo estremamente complesso che noi sosteniamo e condividiamo ogni volta che acquistiamo “le pere dell’Argentina”.
Allo stesso tempo, sicuramente la certificazione biologica dovrebbe includere oltre alle attuali verifiche sull’uso di pesticidi e concimi di sintesi, le condizioni ambientali quali la vicinanza di potenziali fonti di inquinamento (inceneritori, aeroporti, centri industriali) le condizioni delle falde acquifere utilizzate per l’irrigazione e l’abbeveraggio, le tecniche di irrigazione e di lavorazione della terra, la presenza di coperture in eternit sui vecchi capannoni/stalle, etc. etc.
La strada è lunga e complessa e va fatta insieme: produttori, allevatori e consumatori.
Invito quindi i lettori del blog ad iniziare la ricerca del percorso del cibo che mangiano, partendo magari da un solo alimento, quello che più consumano. Scopriranno un mondo inaspettato e instaureranno una serie di relazioni interpersonali che, insieme a ciò che mangiamo, sono l’essenza di ciò che siamo.
“Il cibo è qualcosa di cui si deve avere cura” ma per aver “cura” del cibo è necessario prima fare una spesa “accurata” dopo aver instaurato una relazione significativa con ci produce le materie prime.
Ed a questo punto si apre il mondo: quello del biologico, del biodinamico, del Km 0, della spesa sostenibile per l’ambiente, di quella eticamente corretta verso chi produce, etc, etc.
Cara Marina, hai scoperchiato proprio un bel pentolone bollente!!!
Caro Gino, questo è un blog di arredamento 😉 Sì, hai ragione, i temi del cibo sollevano le problematiche che hai indicato e su cui si può discutere a lungo (a cominciare dal falso mito del biologico) ma non credo sia questa la sede.
Ciao a tutti e due! Io credo che questa sede può essere idonea per un confronto sul valore del cibo. Anzi, chiedo a Gino se ci può guidare, con suggerimenti e consigli, su come avventurarci nel magnifico mondo che ci fa intravedere.