Presepe vs. albero

In tempo di Natale le nostre case, i nostri arredi subiscono una trasformazione non da poco. Bisogna far spazio ai simboli natalizi per eccellenza: il presepe e l’albero. Quale dei due però? E perché?

Uomini d’amore e uomini di libertà. Il professor Bellavista distingueva così l’umanità: gli uni vivono abbracciati, gli altri preferiscono la privacy. Ma il vero discrimine è il presepe. L’uomo d’amore preferisce il presepe, l’uomo di libertà l’albero di Natale. Questa distinzione un po’ macchiettistica di Luciano De Crescenzo affonda però le radici nella storia e forse anche nel mito, giacché le due manifestazioni del culto natalizio hanno origini lontane, nel tempo e nello spazio, e solo recentemente sono venute a sovrapporsi.

Ma andiamo per ordine. Noi italiani abbiamo sempre avuto una vocazione presepistica. Il nostro santo patrono Francesco è stato il primo a istituire il presepe nel 1223 e Arnolfo di Cambio ne ha scolpito per primo uno nel 1291. Le tradizioni si sono susseguite poi fino a diventare oggetto di culto e di perfezione artistica. In tutto il mondo è conosciuta la tradizione dei presepi napoletani del Settecento che, sotto Carlo III di Borbone e grazie ad artisti del calibro del Sanmartino (l’autore del Cristo Velato), ha toccato vette di assoluta magnificenza.  Il presepe settecentesco seguiva uno schema preciso secondo una tripartizione in cui a sinistra era raffigurato l’Annuncio, al centro in posizione dominante il Mistero e a destra la Taverna.  Ma, oltre al presepe artistico, vi è quello dell’anima che, soprattutto a Napoli, viene mantenuto vivo da artigiani e privati cittadini che ogni anno si accingono alla gradita fatica di allineare le sacre figure secondo uno schema e simboli precisi. Come dimenticare, per esempio, il presepe di Luca Cupiello di eduardiana memoria? In tema di simboli, un prezioso libro del Maestro Roberto De Simone (Il presepe popolare napoletano, ed. Einaudi) ci ricorda le figure come il Benito pastore dormiente, Cicci Bacco, il pescatore, la vergine Stefania, la zingara, la meretrice e i re Magi e i luoghi come il pozzo, la fontana, il fiume, l’osteria, il mercato, il castello. Come accennavo all’inizio, la simbologia di personaggi e luoghi ci rimanda a miti precristiani in cui si racconta di vergini madri del Salvatore. Penso per esempio all’Horus egiziano o al mito zoroastriano di Mitra, tanto in voga presso i soldati romani.

Se dunque da sud i retaggi di una civiltà matriarcale confluivano nella nuova religione cristiana, a nord altre fonti mitologiche facevano da humus culturale. Il rinnovo della vita durante il solstizio d’inverno, l’albero cosmico germanico (l’Yggdrasil norreno) ma anche l’albero del Paradiso terrestre sono tutte manifestazioni divine dell’universo. La tradizione natalizia dell’abete pare sia nata nei Paesi Baltici, Tallinn o Riga, intorno al XV secolo e sicuramente in Germania ha avuto il suo fiorire anche perché riprende altre tradizioni di tipo campestre come l’albero di maggio. L’abete decorato, accolto dai luterani e sponsorizzato anche dai regnanti del nord Europa, ha poi conosciuto una grande diffusione negli ultimi due secoli, in particolar modo in America, affiancandosi come simbolo del Natale al presepe, e anzi soppiantandolo nell’immaginario collettivo consumistico di quest’epoca. Spariti tutti i rimandi simbolici e significanti, rimane solo la luminaria abbagliante del regalo ad ogni costo. Siamo dunque uomini d’amore o uomini di libertà? O siamo diventati semplicemente e tristemente schiavi? Chissà cosa avrebbe detto “o prufesso’”.

 

Le immagini a corredo del post sono tratte dal libro “Il presepe napoletano di casa Leonetti” stampato per i tipi de “L’arte tipografica” in Napoli nel 1964 in 300 esemplari di cui 124 dedicati. Questo era di mio nonno.





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