Welcome
Io ho l’abitudine di salutare. Da sempre, quando incontro qualcuno. Fin da bambino, frutto dell’educazione ricevuta. Saluto tutti coloro che incontro nei miei percorsi quotidiani, particolarmente vicino casa, negli uffici e sul luogo di lavoro. Uscendo di casa se incontro qualcuno mi è difficile fingere di non vederlo. Salutare è importante perché stabilisce una relazione, un legame. La persona con cui ho scambiato il mio saluto dopo non è più “altro” ma diventa “prossimo”. Il saluto è un atto di accoglienza, non è vincolante, e crea una relazione che è comunque presente nella società, esiste e non puoi allontanarla o ignorarla. Vivo in una città affollata e spesso lo spazio, in continua espansione, assume sempre più una condizione di non città dove affluiscono sempre più persone sconosciute. Diventa difficile il saluto e ci si sente soli tra gli altri. Forse è proprio per questo che è bene continuare a salutare. L’accoglienza è un valore che deve partire da noi, dal nostro modo di vivere, dalle nostre case. Già, le case! Quelle della Roma antica davanti al loro ingresso segnavano l’accoglienza con un musivo SALVE, usanza che si è tenuta nel tempo fino a rientrare nell’elenco delle “buone cose di pessimo gusto” di Guido Gozzano quando era di uso tra la classe borghese di mettere davanti alla porta di casa uno zerbino con la scritta SALVE. Oggi il mercato offre una varietà infinita di proposte formali per i tappetini di ingresso e l’idea della scritta di “benvenuto”, sarà un po’ borghese, fa comunque piacere. Predispone positivamente lo stato d’animo degli ospiti ed è una cosa semplice ma bella. Purtroppo la nostra società sembra non rispondere più a questo genere di sentimenti; la distanza tra vicini di casa è enorme ed il contatto diventa molto difficile. Tu saluti, ma l’altro non risponde, ed è di un imbarazzo unico ritrovarsi su un pianerottolo o in un androne ed avere la sensazione di essere trasparente. L’altra sera camminavo per il mio quartiere e riflettevo su queste cose dal momento in cui l’occhio mi è caduto su uno zerbino in vendita con la scritta “oh no! Di nuovo tu”. Non riesco a cogliere appieno l’ironia, ma ultimamente spesso anche in altre forme di comunicazione, come quelle degli spot pubblicitari, c’e un’ironia offensiva, che invece molti trovano spiritosa. In realtà è lo specchio dei tempi che riflette le cose come realmente sono. Dietro un “Benvenuto” molte volte si nasconde un’ ipocrisia o forse non si ricorda più per chi è l’accoglienza. Mi sono ricordato dello zerbino di “Welcome” , il film che racconta il respingente “benvenuto” che la Francia dà agli immigrati in fuga da una vita non più sostenibile nei loro paesi di origine. Un uomo di fronte all’avventura di un ragazzo riscopre dentro di sé una umanità e una moralità che fino ad allora aveva cancellato. La diffidenza è l’humus in cui cresce e prospera l’intolleranza. Un benvenuto autentico non mette uno STOP fuori dalla porta di casa anche se mistificato con un Welcome.
Roberto Esposito nel suo libro “Communitas. Origine e destino della comunità” Einaudi, ci presenta la comunità come il luogo dove si incontrano le persone che hanno in comune il non avere e attraverso il non avere si legano, si indebitano reciprocamente. “Ne risulta che communitas è l‘insieme di persone unite non da una ‘proprietà’, ma, appunto, da un dovere o da un debito. Non da un ‘più’ ma da un ‘meno’, da una mancanza, da un limite che si configura come onere, o addirittura una modalità difettiva, per colui che ne è ‘affetto’ a differenza di colui che ne è, invece, ‘esente’ o ‘esentato’ “ .
Zygmunt Bauman invece in “La solitudine del cittadino globale” edito da Feltrinelli dice che “l’opportunità di mutare questa condizione dipende dall’agorà: lo spazio né privato né pubblico, ma più esattamente privato e pubblico al tempo stesso. Lo spazio in cui i problemi privati si connettono in modo significativo: vale a dire, non per trarre piaceri narcisistici o per sfruttare a fini terapeutici la scena pubblica, ma per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalla miseria subita privatamente; lo spazio in cui possono nascere e prendere forma idee quali “bene pubblico”, “società giusta”, o “valori condivisi”. Il problema è che oggi è rimasto poco degli antichi spazi privati/pubblici, ma non se ne intravedono di nuovi idonei a rimpiazzarli. Le antiche agorà sono state rilevate da intraprendenti immobiliari e riciclate in parchi dei divertimenti, mentre forze potenti cospirano con l’apatia politica per rifiutare i permessi di costruirne di nuove.”
Personalmente credo che tutto passi quindi inevitabilmente attraverso il nostro modo di vedere l’altro e quindi di porci nei suoi confronti. Forse prima ancora di averlo conosciuto ed incontrato.
Io faccio sempre le scale, non per paura dell’ascensore ma per avere la possibilità di incontrare gli altri abitanti della mia palazzina, sono incontri fugaci perchè si tende a rintanarci in casa per paura di tutto e tutti ma a volte si riesce a scambiare anche 2 parole.
Qualche settimana fa risalendo le scale con mia moglie troviamo un nonno e una nonna in piena attività di baby sitteraggio alle prese con una chiave incastrata nella serratura che non voleva più uscire ne aprire la porta. I nonni in preda al panico, con il nipotino accanto, avevano già chiamato la figlia a lavoro che a sua volta aveva chiamato il fabbro. Credo che la presenza di altri 15 famiglie nel palazzo era stata esclusa a priori. E’ bastato fermarsi un attimo, condividere il problema, allentare la tensione e capire che bastava un piccolo cacciavite per risolvere il problema. E’ bastato ritornare ad Esposito: farsi comunità con i vicini, ammettere che ciò che gli mancava in quel momento lo avrebbe potuto avere qualsiasi vicino di casa. E così è stato.
Nella piccola “agorà” Baumaniana delle scale abbiamo portato un piccolo cacciavite che ha aperto anche una nuova relazione.
Credo che la Casa sia fatta anche e soprattutto dei valori di vicinato!!! Nei giorni della neve romana, i miei vicini ultra settantenni andando a fare la spesa al mercato chiedevano a noi se ci servisse qualcosa, se sono senza baby sitter posso chiedere aiuto a Leila per la cena delle bimbe. Solo così, aprendo SOLO il portone già mi sento a Casa!
Ah Gino, se vai a piedi e gli altri in ascensore non incontrerai mai nessuno 😉 Molti invece evitano l’ascensore per il contatto forzato in un ambiente ristretto. Ti tocca fare un po’ e un po’ per incontrare gente.
“Attenti al cane” mi fa pensare più a “Zona video sorvegliata”, un avvertimento per i malintenzionati per dirgli che sono sotto controllo; c’è una sicurezza. Trovare fuori la porta un “Oh no! Di nuovo tu” denota solo poca accoglienza.
ma anche nell’antichità esisteva “cave canem” che allontanava i disturbatori…da http://www.wikipedia.it ho tratto queste info… “La scritta deriva da un famoso mosaico richiamante il cave canem che si trova negli scavi archeologici di Pompei, sul pavimento d’ingresso della Casa del Poeta Tragico (Regio VI, Insula 8, n° 5); in un altro mosaico, privo di iscrizione, dove il cane è rappresentato alla catena presso una porta semi aperta è visibile sempre a Pompei all’ingresso della Casa di Paquio Proculo (Regio I, Insula 7, n° 1).”
… insomma, come dire: il cero si consuma ma il morto non cammina. Riusciremo a cambiare qualcosa? Ma, comunque, un “attenti al cane” scritto per ragioni di sicurezza fa meno effetto di uno STOP!