USA e GETTA

Rileggo spesso con attenzione i post da noi pubblicati e credo sia arrivato il momento per trattare della filosofia dell’usa e getta che spesso noi abbiamo data per scontata con il pericolo di sembrare troppo rigorosi o, in alcuni casi, integralisti. Renato De Fusco ci suggerisce una sintesi tratta da un saggio di Guido Viale che sembra dare risposta a quanto spesso noi ci chiediamo. “è ormai entrato a far parte dell’ “ordine naturale delle cose” che tutto ciò che si produce non venga prodotto per durare. Si produce per sostituire, ma il presupposto tacito di questo modo di agire è che tutto ciò che viene sostituito possa o debba essere gettato via. La civiltà dell’usa e getta -che è il punto di approdo del consumismo- cioè di una organizzazione sociale che si perpetua attraverso la moltiplicazione delle merci- ha i suoi presupposti tanto in un prelievo illimitato di risorse naturali quanto in un accumulo illimitato di rifiuti”.

Un prodotto lo definiamo usa e getta perché risulta più economico e funzionale buttarlo via dopo averlo usato anziché conservarlo con cura.

La nostra è una società usa e getta. Partendo dall’oggetto semplice fino ad arrivare ai necessari usa e getta high tech. Penso alle protesi cardiache e ortopediche usate in chirurgia. Tutti concordiamo sul loro valore positivo. Mi voglio concentrare principalmente su quei prodotti usa e getta che voglio definire semplici e che sono presenti nella nostra vita di tutti i giorni: piatti, posate e contenitori in plastica o imballaggi.

Il dibattito che ruota intorno a questi è che vengono realizzati principalmente in assenza di qualità, sprecando risorse naturali e, incrementando le discariche urbane. Lasciamo all’ambito politico-amministrativo la gestione dei rifiuti e concentriamoci sul perché i prodotti usa e getta hanno un così grande successo.

  L’idea moderna, affermata nel XX secolo, è quella che un oggetto deve rispondere ad una funzione: questa ha portato allo sfrenato consumo che vede un oggetto come  rifiuto appena ha adempiuto alla sua funzione. Ad esempio un sacchetto o una bottiglia di plastica esistono solo nel momento che svolgono la loro funzione, dopo di che sono rifiuti.

Gli elementi originari del design sono: la quantità di oggetti uguali da poter realizzare ed il basso costo;  la filosofia dell’usa e getta risponde pienamente a questi due elementi base.

Da qui nasce uno spreco non controllato. Ma se a questi elementi aggiungiamo la qualità, l’oggetto potrà avere una vita di più lunga durata. Ma come?

Legata alla funzione c’è la forma che ci suggerisce l’immediata riconoscibilità dell’uso che si deve fare di quell’oggetto; svolto il suo compito ha finito la sua vita.

Per superare il rapido consumo di un prodotto è necessario che questo risponda ad altri compiti aumentando la sua affordance – termine prestato dalla psicologia al design negli anni ’70 da J.Gibson- cioè  la capacità che un oggetto ha di mostrare nella sua forma a cosa possa essere adibito. Penso agli anni ’70  quando il fustino di un detersivo per la lavatrice, finita la sua funzione di contenitore, diventava secchio per lavare e il suo coperchio una comoda bacinella; oppure ai vari contenitori della Nutella:  non più solo semplici barattoli. Una maniglia mi invita ad aprire una porta, ma se questa è priva di maniglia allora perde la sua affordance perché il suo funzionamento non è percepito. Più è alta l’affordance più sarà intuito l’utilizzo di un oggetto. L’attenzione deve essere, quindi,  focalizzata sulla durata di un oggetto e, perché questo avvenga, è necessaria la qualità del design: si deve fare in modo che aumenti il suo lato piacevole. Più un oggetto piace a lungo e più lungo sarà il suo utilizzo. Il futuro dell’usa e getta va ricercato proprio in questa chiave. Quindi bisogna puntare non più sulla durata di un prodotto legata solo alla qualità tecnica, quanto sul piacere che esso ci dà.  Il compito di progettare il piacere, e quello di consumare, porteranno a rivedere l’intera gamma di prodotti industriali e ad utilizzarli nell’ottica tradizionale: più progetto, più produzione, più vendita e più consumo; quindi più design.

Dal punto di vista etico il prodotto usa e getta ci affranca dall’ossessione del possesso, ma di contro favorisce il piacere di padroneggiare quanto ci occorre subito e di favorire il gusto per l’effimero e rifiutare ciò che suscita ricordi facendoci vivere tra memoria e oblio. L’atto di gettare via qualcosa che abbiamo utilizzato presuppone un atteggiamento di cinica indifferenza: il gesto del gettare si sostiene tra i due stati d’animo di memoria e oblio. Queste due esperienze sono trasferite nella nostra capacità di ricordare ma nello stesso tempo di dimenticare. Dopo avere gettato tutto ciò che si è usato, il rischio maggiore che corriamo è che ci troveremo di fronte ad una civiltà che non ha lasciato dietro di sé alcun segno della sua cultura materiale, nessuna testimonianza di buona parte della nostra storia. Come ci ricorda Argan:”L’uomo adatta l’ambiente a sé; perciò la sua esistenza sulla terra non lascia impronte casuali, ma segni con i quali possiamo cominciare a ricostruire la sua storia […] Non v’è documento che non sia il prodotto di un progetto o di un’operazione tecnica; e il documento è sempre un oggetto anche se si tratti di un racconto, di una poesia, di un canto”. Paradossalmente l’assenza di segni è tanto più grande quanto più è vasta la massa dei prodotti che dovrebbero essere portatori di tali segni. Solo il design e il collezionismo potranno conservare alcune testimonianze della nostra cultura materiale. Il design sicuramente migliorando qualitativamente l’aspetto delle cose che per quanto pratiche e funzionali, si gettano senza scrupolo perché brutte o almeno insignificanti. Coloro che sono attenti al carattere estetico di un oggetto raramente si servono di quelli usa e getta e se lo fanno si augurano che vengano migliorati.

Il collezionista raccoglie l’oggetto che è bello, e con esso conserva i segni del tempo in cui è nato. “Questo diventa storico in quanto è bello e al tempo stesso diventa apprezzabile in quanto storico”. Ne deriva quindi che il prodotto usa e getta rientri nella cultura del design, richiami l’attenzione dei designer e diventi un prodotto d’autore.

Collezionare non solo opere d’arte ma oggetti di vario genere, può sembrare un debole rimedio per la salvaguardia della cultura materiale, ma è attraverso le raccolte, le collezioni, i musei che si deve la conservazione di tante culture del passato. Per secoli si sono conservati oggetti di uso quotidiano come le anfore, per l’olio e per il vino, tutte uguali fra loro.

Non si tratta di voler fermare un processo che va dalla nascita di un prodotto alla sua fine tra i rifiuti bensì di qualificarlo per il  breve tempo della sua esistenza in modo che, così qualificato, venga in parte collezionato, conservato come traccia di un tempo e di un costume.

Dobbiamo acquisire la consapevolezza che il consumismo lo si può correggere ma non eliminare perché questo deve coesistere con la produttività. Che ci piaccia o no questa è la condizione della società attuale.





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