Memoria condivisa

Mercoledì 20 giugno. E’ sera. Siamo stati invitati a visitare una mostra unica: ”La memoria condivisa “. Per descrivere l’emozione provata si dovrebbe essere abili scrittori e saperci fare bene con le parole.

Una scaletta ripida ci porta nel primo vano delle grandi cantine di un palazzo in via Ostiense. La mostra si snoda lungo il tracciato delle fondamenta e il tempo e lo spazio sembrano cristallizzarsi.

I tanti pensieri e le tante osservazioni intorno alle quali, per giorni, Marina ed io ci siamo confrontati e sui quali abbiamo vivacemente dibattuto e che sono stati occasione del post  Usa e getta, sembrano trovare in  questa mostra sintesi e risposta.

Marianna Sciveres e Simonetta Sussera hanno segnato il tempo della memoria collettiva.

Due artiste propongono un nuovo modello di archeologia e scavano e cercano nelle discariche, nelle cantine  e nei cassetti dimenticati, dove gli oggetti delle nostre case, della nostra quotidianità ” giacciono, arresi ai nuovi consumi, una mattonella rotta, una vecchia calza di seta, un gomitolo di lana, un bottone, uno spillo e un asso di spade. Un insieme di frammenti senza più valore entrati marginalmente nella storia dell’economia domestica della vita comune”.

Nelle discariche, depositi di una archeologia giovane ma storicizzata, sono conservati i resti della memoria urbana che possiamo conoscere solo attraverso il cinema o la letteratura. Nelle custodie metalliche delle pellicole cinematografiche Marianna  e Simonetta affogano nel gesso frammenti di mattonelle che con i loro disegni e la loro fattura, riportano al gusto delle case degli anni ’50.  Immagini sacre, un rosario o una bottiglietta di profumo. 10 Lire. Una memoria ancora fortemente presente nelle nostre menti ma ormai oblio e ormai storia.

“Ricomporre una decadente bellezza alle cose finite, rotte e perdute è il nostro intento; per ritrovare nella materia degli oggetti, i suoni e i colori dell’Italia che è ormai scomparsa”…e ci sono riuscite alla grande!

Percorrendo gli spazi museali mi sentivo confuso tra arte e testimonianze del passato lasciate lì, in quelle cantine da chi ha vissuto gli appartamenti del grande condominio. Ogni oggetto mi parla e mi racconta di sé: la vecchia bicicletta è appoggiata al muro e mi diceva della strada che ha fatto spinta da qualcuno in allegria con gli amici o affaticato di ritorno dal lavoro. Una vecchia griglia mi diceva delle feste tra amici e del profumo della carne alla brace. Uno scarpone con la suola consumata, è lì, ormai da solo. L’altoparlante diffonde le voci e i suoni di “Accattone” e la sirena del coprifuoco sentita sotto queste fondamenta fa vivere i giorni di quando Roma era Città Aperta.

I vecchi coppi e le vecchie mattonelle sono accantonate con ordine lungo una parete. Depositate tanto tempo fa dopo i lavori e conservate, tante volte dovessero servire. Arazzi realizzati con stoffe, fili, indumenti ricamati si alzano come moderni stendardi e vessilli in una processione per celebrare la società laica.

Gli oggetti raccontano di noi e sembrano vivere tra la memoria e l’oblio.

L’arte di Marianna e Simonetta riscatta tutti questi oggetti donando ad ogni piccolo frammento una nuova dignità. Catturati e inglobati nelle “pizze” cinematografiche e nei moderni arazzi si presentano ai nostri occhi come una pellicola che si srotola ed ognuno di noi può assistere al film della propria vita.

L’evento si conclude con la proiezione del lungometraggio “Il mondo di Agostinelli” scritto e diretto da Marianna Sciveres. Purtroppo il film non è nei circuiti della grande distribuzione, ma non mancherà occasione di invitare Marianna a proiettarlo per i nostri amici. http://www.giannicigna.com/documentaries/agostinelli.html

Qualcuno ha definito Domenico Agostinelli “Il custode del Tempo”. Questo singolare personaggio da ragazzo faceva il “santaro”.  Con una cassetta in spalla girava per le campagne di Teramo a vendere le immagini dei Santi.  Sant’Antonio proteggeva gli animali nelle stalle e San Crispino i calzolai. Chi non poteva pagare barattava il santino con oggetti che non usava più. Ormai inutili. Ma per Agostinelli gli oggetti non sono mai inutili: per lui sono frammenti di storia che diventano testimonianze nella sterminata biografia dell’umanità. Nel tempo Agostinelli ha riempito enormi spazi che raccolgono una infinità di oggetti: orologi, vestiti, giocattoli e mappamondi, strumenti medici, cartoline e fotografie e cappelli, mobili e quadri, la macchina di Al Capone, uno scheletro di gatto e la culla della famiglia di Totò e …

“Il vero museo è quello che contiene tutto, che potrà informare su tutto” diceva Le Corbusier e lo troviamo scritto qui nel museo di Agostinelli sull’anta di un armadio.

Tra il visionario e il surreale, questo museo racconta di noi che la storia la facciamo tutti i giorni senza  rendercene conto.

Dietro una porta murata c’è un ambiente che è stato scavato apposta per depositare oggetti di modernariato: un computer, telefonini, un televisore. “Ho disposto che per aprire questa grotta si aspetti il 2050, quando ciò che oggi è invisibile avrà acquisito la dignità che conferisce la storia”. Questo è il Testamento di Agostinelli.





Licenza Creative Commons