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Scaricando le mie e-mail leggo con sorpresa l’invito di Marichia Simcik a partecipare al convegno “Refugee ScART, l’arte dei rifugiati” tenutosi presso la Sala della Crociera in via del Collegio Romano.  Non potevo mancare all’evento di questi nuovi artisti che ho avuto l’occasione di conoscere e dei quali vi ho già parlato nel post http://www.unacasanonacaso.it/?p=1395  pubblicato a Natale.

Cammino all’interno della biblioteca seicentesca e mi colpisce l’originalità dei lavori di Seckou, Bamba e Jasmine per nominarne alcuni.

I colori vivaci dei grandi arazzi realizzati con la tecnica del recupero delle buste di plastica, tagliate a striscioline e fissate con il calore, emergono con forza sulla sequenza di volumi secolari ricchi di storia.

Ascoltando Erri De Luca nel suo intervento il pensiero viene ribaltato: non siamo noi con la nostra società a fare qualcosa per loro, ma probabilmente, ancora una volta, è la vivacità della creatività africana a fare da propulsore alla nostra cultura.

Così come agli inizi del Novecento la mostra di arte africana ha fatto intuire a Picasso,  nella forma delle maschere,  la rivoluzione della visione dello spazio, ancora oggi nelle forme e nei colori queste creazioni parlano dell’Africa in un modo nuovo.

Nell’arte non è nuovo il concetto del recupero di un oggetto per conferirgli una nuova dignità estetica ma qui andiamo oltre.     L’idea di creare un materiale originale dagli scarti della civiltà contemporanea permette a questi giovani artisti di realizzare oltre agli oggetti di uso comune delle vere e proprie opere che entrano a pieno titolo nella nostra cultura.

Come un boomerang ci ritorna indietro il comportamento violento che l’Europa ha tenuto nei confronti del continente africano ridotto ad una pattumiera.  Questa mostra ci porta a prendere atto delle grandi potenzialità culturali e della  capacità  di produzione di questi giovani rifugiati.

Dai  rifiuti che sporcano il nostro quotidiano  riescono a tirar  fuori  quanto  di più alto possa esistere: la bellezza.

Indosso le loro collane colorate o le borse realizzate da loro e la sensazione è quella di avere degli oggetti speciali, unici, come uniche sono le vere opere d’arte, al di là di ogni firma o di ogni status simbol. Mi sento semplicemente bene e sicura della mia immagine perché questi oggetti sono semplicemente belli. Guardo gli arazzi che reggono perfettamente il confronto, azzardato, con le opere di artisti dal nome di Balestrini, Bentivoglio, Baruchello, Dorazio e  Scialoja presenti nella mostra.

Come espresso dalla curatrice, penso anch’io ad associare questi teli alle opere di Tancredi  ma queste hanno un quid in più.

L’ispirazione all’innovazione artistica viene ancora una volta dall’Africa. Mi accorgo che mentre dipingo, il vivo ricordo dei colori degli arazzi accostati tra loro con una precisa casualità mi trasmettono forza di vivere, allegria e speranza.

Le parole contaminazione e inquinamento vedono  qui ribaltato il loro significato: questi concetti , a servizio dell’arte, assumono una valenza totalmente positiva.

Anche quest’anno, come già ho fatto il Natale scorso, invito tutti a fare dono, soprattutto alle persone più care, di uno degli oggetti realizzati dal laboratorio di Refugee scArt. http://www.refugeescart.org/

Sarà una partecipazione attiva alla  speranza.  Avremo occasione di riparlarne.





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