L’arredo ritrovato

La mia collega di Arte apprezza molto questo blog e leggendo i miei ultimi Post mi definisce “un nostalgico”. Forse un po’ è vero, ma ormai non posso fare a meno di notare che certi miei modi di pensare, di vedere la vita sono un riflesso di emozioni ed intuizioni che avevo quando ero ragazzo.

Spesso vado a trascorrere qualche giorno in Umbria e dalla casa dei miei zii vedo in lontananza, verso il Tevere, la grande casa colonica dove hanno vissuto, appena sposati, tanti anni fa.

Questa casa è una di quelle bellissime strutture rurali che vanno scomparendo sempre di più dalla campagna umbra. Da decenni una cultura dissennata porta ad abbandonare, a distruggere i segni di una cultura contadina che è ormai definitivamente scomparsa. E’ mia abitudine fotografare ogni volta questo casolare che ormai è ridotto quasi ad un rudere. Eppure ricordo molto bene la grande cucina accogliente –con il grande camino con i “cantoni”- e pochi elementi di arredo: un grande tavolo troneggiava al centro dell’ambiente circondato da numerose “teverine” le classiche sedie di campagna impagliate. Una grande credenza conteneva tutte le stoviglie della casa. Questi mobili non ostentavano né modanature, né colonnine, e mi piacevano tanto soltanto per la loro comodità, per la solidità , per il materiale nobile e per la loro precisa esecuzione.

Con il  tempo i miei zii hanno costruito poco distante una casa nuova, moderna, con tutti i confort… ma che ho sempre trovato poco pratica per la vita di campagna. Non ho più visto il magnifico tavolo in legno intagliato e la bella credenza. Confinati uno in una soffitta e l’altra in un magazzino, avevano lasciato il posto ad un inappropriato mobilio “moderno”. E’ passato il tempo e con mio grande piacere vedo che il tavolo è stato ritrovato, restaurato e messo al centro di un grande locale con  il camino e così anche la credenza. L’ambiente è stato di nuovo arredato come piace a chi vive la casa e non più  con il gusto imposto dalle mode in nome di una presunta modernità.

E’ proprio in questi ultimi giorni di agosto, durante il mio soggiorno in Umbria e davanti a questi arredi che trovo conforto del mio pensiero nelle parole di Enzo Bianchi –Priore della comunità monastica di Bose- lette nel suo libro “Ogni cosa alla sua stagione” dove, anche lui con una parentesi nostalgica,  racconta della sua casa. Dopo avere letto le sue parole è bene che io mi fermi e lasci parlare lui.

“Di tutto il mobilio che arreda una casa, la tavola è forse l’elemento più eloquente. La sua grandezza, in particolare, dice molto dei padroni di casa: se sono una famiglia piccola o numerosa, se per loro la tavola è semplicemente un luogo su cui consumare il cibo oppure uno spazio per stare tutti insieme anche con gli ospiti. Che tristezza una tavola piccola, alla quale non si possono invitare gli “altri”, una tavola stretta, magari addirittura “a scomparsa”. Ricordo che un tempo la tavola era un mobile di cui essere orgogliosi: in legno massiccio, collocata come regina al centro della cucina, attirava subito lo sguardo di chi entrava. Le sue gambe solide e mai traballanti, modellate al tornio oppure squadrate, colpivano l’attenzione, al pari del suo piano, sempre in vista, che fosse di marmo o di legno nobile come il ciliegio o il noce, mai avvilito da una squallida cerata, anzi spesso adornato da pochi, semplici, oggetti quotidiani che lo riportavano con gusto alla sua essenza di fulcro di convivialità: un cesto di frutta, una pagnotta e un’orcio d’olio, una composizione di zucche ornamentali… Tutto questo, certo, prima che agli inizi degli anni sessanta irrompesse la praticissima iattura dei ripiani in formica. Avvenne allora un’autentica rivoluzione: tutti si affrettarono a mettere in cantina o a vendere per pochi spiccioli i vecchi tavoli di solenne austerità per introdurre esili tavoli come rattrappiti, colorati con tonalità assurde. Certo, i nuovi oggetti erano lavabili, non richiedevano più la tovaglia, ma nel contempo smarrivano la loro identità e il loro significato, a volte cedevano anche la solenne e regale collocazione al centro della stanza, magari per far posto al vuoto che consentisse di fissare lo sguardo verso il nuovo idolo, la televisione.

Subii a malincuore quel mutamento anche a casa mia, ma con la netta percezione di assistere a qualcosa che aveva a che fare con la barbarie, con il venire meno del senso dello stare a tavola. Ed è quanto purtroppo avvenne… eppure la tavola è il luogo attorno al quale si consuma un rito proprio, fra tutti gli animali, solo all’essere umano: quello di mangiare insieme e non in competizione con i propri simili. E, mangiando, parlare insieme: la tavola è il luogo privilegiato per la parola scambiata, per il dialogo: si comunica attraverso il cibo che si mangia e attraverso le parole che si scambiano. Mentre uno parla, gli altri mangiano e ascoltano, poi i ruoli si invertono quasi spontaneamente: chi tace smette di mangiare e inizia a parlare e chi ascolta riprende a mangiare. Forse, anche a questo serviva l’ingiunzione di “non parlare a bocca piena”. […]

A tavola, piccoli e grandi, vecchi e giovani, genitori e figli, siamo tutti commensali, tutti con lo stesso diritto di parola e con lo stesso diritto al cibo che arricchisce la tavola. Davvero stare a tavola è molto più che saper nutrirsi: è saper vivere.”





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