25 aprile

Stamattina mi son svegliato ed ho provato una strana sensazione. L’androne del palazzo è arioso, il portone ampio e una gradinata porta al androne piano rialzato. Una signora entra con il suo cane dalla passeggiatina quotidiana accompagnata da un’altra donna più giovane, forse la sua vicina di casa.pianerottolo Salutano, prendono l’ascensore e vanno su. Altri due condomini chiacchierano nell’androne ricordando che è normale che ci sia più via vai del solito nel condominio. Ah, dimenticavo! L’androne è quello del palazzo di via Tasso al numero 145 dove i primi tre piani ospitano il “Museo Storico della Liberazione” ed oggi è il 25 Aprile! La strana sensazione che ho provato è quella di vedere come nelle abitazioni, nelle case protagoniste della topografia dell’orrore della nostra città, la vita scorra  in una quotidiana normalità. Marina ed io ritorniamo a visitare questi spazi immutati nel tempo. Le case hanno i pavimenti in gettato alla veneziana con i tanti piccoli pezzetti di marmo fissati nella malta di cemento e poi arrotati e lucidati. Le piccole listelle di metallo annegate nel cemento delineano i contorni del disegno del pavimento e servivano da guida al posatore. C’è l’ingresso sul quale si aprono le camere trasformate poi in celle; la cucina con le tradizionali maioliche azzurre alle pareti, il lavello in pietra e la cappa per i fumicucina murata e poi il terribile ripostiglio usato come Cella di ingresso  camere Segregazione. I sopraluce delle porte hanno le grate. Nelle stanze le finestre sono murate e delle piccole finestrelle in alto permettono  l’ingresso dell’aria e vi trovano riparo i piccioni. Le pareti sono rivestite con la carta da parati e l’impianto elettrico è quello originario. carta parati Nell’allestimento museale ritroviamo i chiodi a quattro punte dei quali Caterina e Oriana raccontano nel loro lavoro teatrale “De Fame, se non chiedi non sai”.  Un silenzio assordante riporta alla memoria le urla dei prigionieri torturati e le voci cattive e concitate dei loro aguzzini. La storia la conosciamo, ma ogni volta che entriamo in questi ambienti ci sembra di sfogliare il libro come fosse la prima volta. Come può una casa, l’ambiente sicuro delle nostre vite, diventare un carcere? I materiali negli  spazi trasudano ancora una volta di memoria condivisa. In questi luoghi Uomini si sono trovati soli con le parti più recondite di loro stessi. Le grida che solo l’orecchio attento riesce ancora a botte sentire sono quelle di ragazzi che sono stati qui ed anche di quelli che qui non ci sono mai passati ma che condividevano una particolare idea del mondo. “La morte è brutta per chi la teme”; “Artigliere ricordati che sei del 5° di Superga”; “Attenti al coniglio” –con un coniglio disegnato-; con una punta metallica nell’intonaco della Cella di Segregazione i prigionieri hanno fissato la loro forza di volontà di non cedere. Un calendario segna “Botte, botte, botte”. E poi… una lettera alla mamma, alla donna amata. I fotogrammi di “Roma città aperta” sembrano scorrere davanti ai nostri occhi.  Ci domandiamo dove si possa trovare la forza e la capacità di resistere a tanta violenza fisica prima che prospetto psicologica.  Mentre nel silenzio generale l’ambiente si gelava nell’istante in cui le urla diventavano disumane, negli appartamenti in alto gli ufficiali nazisti conducevano le loro vite. L’intera via Tasso era muta. Il palazzo aveva tutte le finestre murate e gli altri edifici della strada dovevano avere sempre le imposte serrate. Un tratto della strada era isolata dalle transenne e nessuno doveva far rumore. Silenzio di tomba squarciato dalle sole grida dei prigionieri. Queste case, punto di arrivo e di scarsa possibilità di ritorno, divennero sorgente di un nuovo viaggio senza ritorno: quello dei martiri delle Fosse Ardeatine. E’ strano, in questi giorni che sta vivendo la nostra Repubblica, restare in ascolto di questi silenzi. Penso a quelli che sono potuti finestre aperte ritornare in questi luoghi dopo la Liberazione. “Niente come tornare in un luogo rimasto immutato ci fa scoprire come siamo cambiati”.  Nell’androne,davanti alle cassette della posta, ci tratteniamo in piacevole conversazione con altri visitatori: come si può vivere nel luogo che racconta l’inferno di via Tasso? Come è possibile che in più di 60 anni di Repubblica lo Stato non abbia acquistato l’intero immobile simbolo della nostra Resistenza? “Ci si fa l’abitudine e si dimentica” risponde, con rabbia inesplosa, il cordiale custode. Andando via, mentre saliamo sul nostro scooter, il grande edificio ci guarda innocuo: il design moderno segue i canoni della moda Razionalista della fine degli anni ’30 del XX secolo. Il suo volume è rivestito di travertino solo al basamento mentre è segnato orizzontalmente dai inferriate copiamarcapiani che imitano questa pietra romana. Le finestre scandiscono regolarmente le facciate e moderne grate di sicurezza serrano le finestre. Ha cinque piani e sorge sull’area che un tempo era occupata dalla Villa Massimo e confina con un istituto religioso il cui giardino è delimitato da una parete curva costruita su antichi resti romani. Ecco spigato l’angusto cortile sul quale si affacciano le finestre delle camere interne e la parete curva che segue parallela quella del muro di confine. Il proprietario aveva affittato l’intero edificio muro curvo copiaall’Ambasciata Tedesca a Roma per ospitare gli uffici culturali di rappresentanza diplomatica e dove poi si insediò la sede della SIPO, la polizia politica tedesca. Solo più tardi l’ala destra –al n.145- verrà adibita a carcere: al piano terra e al primo piano gli uffici e i magazzini mentre dal secondo fino al quinto piano gli appartamenti furono trasformati in celle. La facciata ci osserva e nasconde dietro le persiane chiuse le finestre murate.finestre chiuse 1 copia In più punti le finestrelle segnano le celle ricavate negli appartamenti, mentre le altre finestre sono spalancate ed una signora, affacciata, guarda la strada. Con gli occhi dell’immaginazione vedo la mattina di tanti anni fa quando, finalmente, tutte le finestre delle case di via Tasso si spalancarono e tante braccia, agitate e urlanti, annunciavano la fine del Terrore. Andiamo via tra la gente in festa lasciandoci via Tasso alle spalle  consapevoli di non esserci totalmente affrancati da questo pesante prospetto curvo copiapassato. Queste case ci spiegano ad alta voce che cos’è il totalitarismo e la vita ci dovrebbe insegnare come difenderci da esso.

 

La pubblicazione del presente articolo è stata possibile grazie alla gentile autorizzazione del Presidente del Museo Storico della Liberazione Prof.Antonio Parisella

 

 

 

 





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