ARAZZI

Ultimamente un arazzo di dimensioni notevoli, enormi per una casa di città, mi ha creato non pochi problemi condizionando fortemente la soluzione progettuale  di un appartamento.

Questo è stato il pretesto che ha spinto la mia curiosità a rileggere il senso e il significato di questo mezzo espressivo.

3534-arazzo-alessandro-magno-imprese-orienteL’arazzo, un vero e proprio “affresco” mobile, aveva il duplice compito di difendere dal freddo realizzando un maggiore isolamento termico e di essere simbolo indiscusso di ricchezza e potere per chi lo possedeva.

Le stanze con le pareti ricoperte di arazzi colorati e vivaci raffiguranti la storia e le gesta celebrative dei padroni di casa erano oggetto di stupore e ammirazione.

“La bellissima invenzione degli arazzi” che essendo dei supporti figurativi mobili erano adatti a “portar la pittura in ogni luogo e salvatico e domestico”  così il Vasari descrive questo modo di rappresentare le imprese di chi li possedeva: Re, nobili e Principi della chiesa.

Una alternativa alla rappresentazione pittorica dell’affresco, che si affermerà in Europa  nel Tardo-Medioevo e poi nelle successive fasi del Rinascimento, del Barocco e del Rococò.

I pittori che eseguivano i cartoni su cui poi venivano tessuti gli arazzi seguivano dei modelli figurativi che tenessero presente i cambi di trama, i cambi di colore e il moltiplicarsi dei dettagli.

Per questo motivo vennero eseguiti, tra il 1400 e il 1550 molti arazzi con un motivo a “millefiori”; filone che non aveva nessuna corrispondenza nella pittura del tempo se non per la Primavera del Botticelli che ha preso spunto proprio da un arazzo fiammingo millefiori.

A rovescio, il filone Caravaggesco, con i suoi toni scuri, non ha trovato sbocco negli arazzi contemporanei.

Rubens forse rappresenta un raro caso in cui un pittore potesse realizzare con uguale potenza  espressiva una tela o un cartone senza modificare la sua “maniera” di dipingere.

Il grande arazzo da parete proprio per la sua dimensione, avendo delle esigenze decorative proprie della tecnica tessile, si è sempre fortemente discostato dalla pittura; questo scarto figurativo viene quasi totalmente annullato quando furono introdotti i cosiddetti “Quadri d’Arazzo” o “Arazzetti” relizzati nel XVIII e parte del XIX secolo. Erano degli arazzi di piccole dimensioni  che proponevano figurazioni copiate da dipinti famosi  e  venivano utilizzati come dei quadri: incorniciati ed appesi alle pareti.

L’Arazzetto, in Italia, veniva inteso come un’illusionistica imitazione di un prodotto del pennello, come avrebbe poi ritenuto il Vasari:” dipinto tradotto in un altro medium”.

Vennero copiati ad arazzo capolavori di Rubens, di Artemisia Gentileschi, del Barocci, di Guido Reni, del Carracci e molti altri.

Gli arazzi hanno iniziato a rimpicciolirsi per trovare posto nei salotti degli appartamenti di città.

tapisserie "cuccurucù"Così l’arazzo ha smesso di raccontare per diventare “Arazzetto”:  copia di quadri famosi.

Oggi troviamo sul mercato  moltissime offerte di “Arazzetti”, che riproducono  capolavori della pittura di tutti i tempi.

Mi chiedo: è  possibile tornare a  riproporre  degli arazzi che anche se di piccole dimensioni riscoprano la loro vocazione

refugee sc'art

alla narrazione?

Personalmente ho avuto la fortuna di imbattermi in episodi che mi hanno fatto riscoprire il valore evocativo e narrativo di questi medium.

Ho ritrovato negli arazzi di Sciveres e Sussera il racconto della nostra storia civile, così come negli arazzi di Refugee Sc’art c’è il racconto, attraverso una trama e un ordito fatto di plastica recuperata, della nostra società contemporanea fatta di rifiuti e di riciclo.

Mentre gli antichi arazzi narravano le gesta dei condottieri e dei potenti questi due esempi che ho incontrato raccontano la nostra storia.





Licenza Creative Commons