FRATTURA E CONTINUITA’
E’ così!
La nostra cultura non ci educa a vedere.
All’ascolto, sì! Infatti subito avvertiamo se un suono è gradevole o se è solo rumore. Se si sbaglia la frequenza avvertiamo immediatamente il fastidio: le note rientrano in uno schema prefigurato e subito avvertiamo che qualcosa non và.
Quando ascoltiamo un coro percepiamo se le sezioni sono armonizzate; tutte insieme dialogano tra loro per esprimere, con il colore delle voci, forti emozioni.
Ma il rumore, inteso come dissonanza, non si sente solamente; il rumore lo si può anche vedere ma non tutti siamo stati educati a “saper vedere”.
Nella nostra ultima ristrutturazione non è stato facile, in fase di progettazione, far comprendere al cliente che l’architettura deve rispondere a precise regole. Gli spazi di una casa comunicano tra loro, dialogano, attraverso le forme.
Il nostro cliente avrebbe messo porte “a scrigno” ovunque per, come diceva lui, “guadagnare spazio”. Rieccole le orrende porte a scrigno!…
Non c’è niente di peggio per mortificare una porta.
Nella gestione della pianta libera di un appartamento, le porte hanno una forte valenza poiché mettono in relazione gli spazi tra loro, mentre queste vengono viste, dai più, solo come mezzo per passare da un ambiente ad un altro ad esso contiguo.
E’ nell’armonia del tutto che vengono scelte le modalità per rendere comunicanti gli ambienti. La porta a battente o la porta scorrevole intervengono nella progettazione proprio come in una forma musicale la legatura o un punto di valore prolungano la durata di una nota.
Una porta scorrevole ci aiuta a fondere o a dividere completamente lo spazio secondo la funzione che questo deve svolgere in un preciso momento. Un ingresso e un salone, così come un soggiorno e una cucina, nei nostri progetti li relazioniamo in modo tale da poterli separare o unire con l’uso delle porte scorrevoli.
Eppure in molti non esitano ad aprire nelle pareti quelle porticine solo per “poter passare” da qui a lì, senza riuscire a vedere il “rumore” che questa porta fa all’interno dello spazio architettonico.
Fermo restando che le porte con l’anta a battente devono restare chiuse –altrimenti non se ne comprende il senso- queste vanno inserite in armonia con quanto le circonda.
Questi semplici accorgimenti formali aiutano a risolvere le “stonature” che inevitabilmente si possono commettere: far entrare il rivestimento del pavimento da un ambiente ad un altro quanto basta per accogliere lo spazio di rotazione dell’anta della porta; oppure –nelle camere- un invito creato da una spalletta darà modo di accogliere l’armadio lasciando libera la superficie della camera, e nel contempo di delimitare lo spazio di apertura della porta senza che questa invada la camera creando così una rottura nella superficie muraria.
Molto interessante è la porta a doppia anta quando la profondità del muro accoglie le sue ante aperte creando un varco di passaggio.
Lo spazio risponde a precise regole grammaticali e di sintassi che aiutano a leggere l’intero insieme; non possiamo fare quello che ci pare! Certo, in una società in cui si sente dire che “la gente sono esasperate”… è normale aspettarsi di vedere che una porta può essere usata per nascondere la scarpiera … tanto non si chiude mai.
Rileggendo quanto abbiamo scritto, ci preoccupa di cosa si possa pensare degli architetti che vivono con queste “fisime”. Ma qualche giorno fa Caterina mi ha telefonato e, entusiasta, mi raccontava della ricchezza dei contenuti del romanzo di Muriel Barbery: L’eleganza del Riccio. “Ci dobbiamo vedere! C’è molto da parlare”. Ho letto immediatamente il libro e che piacere vedere apparire davanti ai mie occhi il pensiero rassicurante dell’Elegante portinaia del numero 7 di rue de Grenelle.” […] fin dal primo film, “Il sapore del riso al tè verde” ero rimasta affascinata dallo spazio vitale giapponese e dalle porte scorrevoli che rifiutano di fendere lo spazio in due e scivolano dolcemente su guide invisibili. giacché, quando noi apriamo una porta, trasformiamo gli ambienti in modo davvero meschino. Offendiamo la loro piena estensione e a forza di proporzioni sbagliate vi introduciamo una incauta breccia. A pensarci bene, non c’è niente di più brutto di una porta aperta. Nella stanza dove si trova, introduce una sorta di rottura, un parassitismo provinciale che spezza l’unità dello spazio. Nella stanza contigua provoca una depressione, una ferita aperta e tuttavia stupida, sperduta su un pezzo di muro che avrebbe preferito essere integro. In entrambi i casi turba i volumi, offrendo in cambio soltanto libertà di circolare la quale per altro si può garantire in molti altri modi. La porta scorrevole, invece, evita gli ostacoli e glorifica lo spazio. Senza modificarne l’equilibrio ne permette la metamorfosi. Quando si apre, due luoghi comunicano senza offendersi. Quando si chiude, ripristina l’integrità di ognuno di essi. Divisione e riunione avvengono senza ingerenze.”
La nostra ispirazione viene dall’ Oriente.
Vedo che avete risposto a dovere alla mia piccola provocazione della settimana scorsa. Ne ero certo. Bravi.
Ciao Luca, esatto! Abbiamo approfittato del tuo Post per agganciarci a quello che avevamo scritto dopo avere letto il libro “L’eleganza del riccio”. Bella sintonia. E’ un piacere.
Considerazioni molto belle e interessanti sulla strutturazione degli spazi. Una situazione del genere l’ho vissuta quando ho comprato la casa dove abito e l’ho ristrutturata, eliminando un po’ di porte. Tra l’altro ci sono degli scorci nel mio appartamento con porte aperte e chiuse che mi intrigano con la pittura e finirò per rappresentarle in un quadro. Poi, se volete, possiamo parlarne.
A casa mia ci sono porte di stoffa, porte che accolgono proiezioni di film e immagini, porte con maniglie che “ricordano balene”… quanta poesia si nasconde dietro un porta… vero Massimo e Marina? 😉
Muriel Barbery ci offre tanti spunti di riflessione, come l’analisi della porta scorrevole, metafora dei rapporti umani fondati sull’accoglienza e sul rispetto. Il nuovo inquilino giapponese, Ozu, riesce a far comunicare persone appartenenti a realtà sociali, età e mondi differenti, pur salvaguardando l’integrità di ognuna di esse. Quante volte, mettendoci in relazione con gli altri, ci comportiamo come stupide porte aperte, incuranti delle fratture che turbano un’integrità, per il solo gusto di aprirci ad uno spazio, sempre e comunque? Aprirsi agli altri non vuol dire lasciare spalancata la porta del nostro io, ma comunicare intimamente.
Grazie Max e Marina, questo articolo è pieno di aspetti su cui riflettere, pieno di riflessioni da fare!