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SEGNI D’ORO

Non sono un tipo che resta morbosamente attaccato alle cose. A volte penso di essere anche un po’ cinico nei confronti di quanto accade nella mia vita: se una cosa non funziona più o non risponde più alle esigenze richieste, allora me ne distacco facilmente e senza rimpianti. Può accadere con gli oggetti come con le persone. Le relazioni percorrono sentieri imperscrutabili e così, quando questi sentieri non corrono più paralleli, c’è un allontanamento naturale che, probabilmente, un giorno tenderà a rientrare. Antiche amicizie si riaffacciano nei miei giorni dopo anni di muto silenzio, avvicinamento metaforicamente interpretato dalla vita della mia tazza per la colazione. La bianca tazza di porcellana mi dà  il “buongiorno” da quasi venti anni, regalo di una amica che teneva molto all’educazione alimentare e, quindi, DSC_1788 copiaall’importanza di una buona colazione. E’ la tazza che mi appartiene; è la “mia” tazza che, anche se incrinata da qualche tempo, ha comunque resistito nella sua interezza con una linea segnata dalla sfumatura del caffè. Mi trovavo a riflettere sulla compagnia che quella tazza mi aveva dato nel tempo: quanti di quei pensieri che invadono la testa di prima mattina sono stati ascoltati da lei sempre pronta per la colazione e, quando non disponibile, spendevo del tempo per sciacquarla quasi fosse impossibile tradirla con un’altra stoviglia. Osservavo con preoccupazione quella crinatura che prima o poi avrebbe ceduto inevitabilmente all’ultimo lavaggio. Fino a quando TAK! accadde. Con i cocci della tazza tra le mani riflettevo del tempo che è stata con me. Mai, prima di quel momento, avevoDSC_1793 copia sentito così forte il valore di quell’oggetto.  Tanti miei alunni ancora non erano nemmeno nati quando mi fu regalata. Quella era una tazza fatta di assonnate mattine creative, di cene fugaci: “stasera mi bevo solo una tazza di latte e vado a letto. Sono troppo stanco”. E’ finita la sua storia e con lei si chiude un periodo. Non c’è problema: uscirò e troverò una nuova tazza che mi accompagnerà per un nuovo tratto di strada. Ma Giovanni, un caro amico, ha postato su facebook una immagine di una bellezza struggente che racconta come i  giapponesi credano nel valore che assume un oggetto rotto, valorizzando la crepa definendo la spaccatura con l’oro. Mi spiegava che quando una cosa che ha una sua storia subisce una ferita, diventa più bella. La traccia d’oro rende più bello e prezioso l’oggetto. Con questa tecnica, chiamata Kintsugi, l’oggetto presenta un intreccio di linee dorate che lo renderà unico e, ovviamente, irripetibile, per via del caso con cui la ceramica si frantuma. In questo modo ci si allontana dalla logica dell’imperfezione data dalla crepa e così da una ferita può nascere una forma di maggiore perfezione estetica. Quindi si è proceduto al restauro della tazza: data la natura poco porosa della porcellana, per unire le parti ho usato una colla epossidica bicomponente. Quindi con un colore oro a DSC_1802 copiarilievo ho segnato tutta la linea della frattura e dopo 24 ore ho sottoposto la tazza ad una cottura a 150°C. Come per la tazza, capita che anche la vita si lesiona, si incrina creando sofferenza. Fa parte del gioco. Ma la sofferenza ci insegna che siamo vivi, poi passa e ti lascia cambiato, magari più saggio. Forse. Sicuramente più forte, ma lascia il segno che, se rivestito d’oro, impreziosisce il tuo essere. Mi piace concludere con quanto Giovanni ha commentato in un post: lui, uomo di esperienza di vita, mi ha risposto: “…quando subisci un dolore, che ti cambia, non devi nascondere le ferite che ti ha lasciato, perché è praticamente impossibile, maDSC_1800 copia devi in un certo senso valorizzare gli aspetti positivi che le ferite ti lasciano, sapendo anche che le ferite dell’anima rimarginate ti rendono più forte.”

Grazie Giovanni per le tue emozioni.

 

 

 

 





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