I vestiti dei sogni

Sabato scorso ci è stato regalato un pomeriggio da sogno dalla costumista Stefania Svizzeretto che, nel tempo di tre ore, ci ha trasportati in una dimensione spazio temporale della durata di un secolo.

1Entrati in Palazzo Braschi e salito lo scenografico scalone di Cosimo Morelli, avvolti dalle musiche delle colonne sonore di film leggendari,  già ci sentivamo accolti nel magico mondo della2 celluloide come protagonisti della grande bellezza del cinema.

Le numerose stanze, che si susseguono una con l’altra, riprendevano vita popolate da protagonisti immobili. L’allestimento valorizzato e vitalizzato da un sapiente, quanto essenziale, studio di illuminotecnica, ha reso vivi e pulsanti gli abiti che altrimenti avrebbero corso il rischio di apparire polverosi e dismessi. L’effimero si presentava ai nostri occhi come eterno: la durata delle poche ore necessarie alla ripresa9 cinematografica, viene resa immortale nelle sequenze delle scene dei film, rendendo eterni quegli abiti. Stefania Svizzeretto, attraverso l’amore che traspare nelle sue parole nel raccontare la genesi di un abito di scena, ci ha aiutati a capire il grande ruolo che ha il costumista nel rendere visibile e concreto quanto la mente del regista immagina.

Con la sua arte, e con le sue capacità artigiane, egli elabora,6 interpreta e rappresenta un’idea che senza di lui resterebbe tale.  Il nostro pensiero non può che rimandare alla figura dell’ architetto, che deve avere un controllo completo sulla costruzione e sulla realizzazione di un’idea.

Proprio la Svizzeretto sottolineava che spesso la figura dell’architetto si fondeva con quella del costumista, dello scenografo, dell’arredatore fino ad avere un ruolo di art-director.

8L’abito si muove sulla scena insieme ai personaggi e deve evocare l’atmosfera in cui il film è ambientato.

Può essere concepito come una struttura rigida che contiene e sostiene la figura oppure,  come delle architetture, posso essere sconvolti:  il genio del costumista -Gherardi- ribalta l’idea trasformando la struttura in forme utilizzando materiali  che tradizionalmente erano destinati a sostenere il tessuto di rivestimento e facendoli diventare i protagonisti assoluti del costume .3

Il costumista  – Tosi -, come spesso succede all’architetto, si trova a dover affrontare la necessità di creare in situazioni estreme: dal grande budget, al massimo risparmio. E’ il caso dei costumi del Gattopardo  di Visconti, 4quando, avendo dato fondo alle risorse economiche messe a disposizione dalla casa di produzione, il costumista risolve abiti recuperando i tessuti degli arredi dei palazzi siciliani: i tendaggi e i rivestimenti dei divani furono utilizzati per realizzare originali costumi di pari livello.

Oppure si trova nella necessità di dover costruire un macchinario, nel caso di D.Donati, una pressa per foggiare i costumi dell’Edipo Re di Pier Paolo Pasolini.

L’abito, come un’architettura, crea lo spazio: la dimensione  nel quale l’uomo vive e si muove rispondendo allo spazio per lui creato. Così come l’architettura invita l’uomo a muoversi e ad assumere i corretti atteggiamenti al suo interno, l’abito invita il corpo7 dell’uomo ad assumere i giusti e corretti atteggiamenti.

11Per questo motivo Alberto Sordi chiedeva di avere i costumi di scena, pronti, prima del tempo delle riprese cinematografiche, proprio perché voleva imparare a conoscere i movimenti che un mantello, un cappello, una scarpa, richiedevano per essere indossati correttamente.

Così come in architettura, il costume diventa strumento di denuncia ; gli abiti del clero creati per Roma sfiorano il ridicolo nelle eccessive  decorazioni realizzate utilizzando oggetti di recupero, cornici, specchi, angeli, decorazioni natalizie, confezioni di cioccolatini con una sovrabbondanza tale da denunciare lo sfarzo e l’opulenza di una chiesa10 che non vive ciò che predica.

Partendo dalle dive del cinema muto, che curavano loro stesse il personaggio e gli scialli diventavano espressione  in assenza della parola, passando per i 12riferimenti cromatici alla pittura di G.Klimt e G.Moreau in Giulietta degli spiriti;  e in anteprima gli abiti con le rielaborate fantasie per Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, ci domandiamo il perché del premio assegnato a Lina Nerli Taviani  per i costumi del film Habemus Papam.13

Lasciandoci alle spalle questa magica atmosfera ci sentiamo protagonisti mentre scendiamo lo scalone accompagnati dalle avvolgenti musiche del gran ballo di Visconti.





Licenza Creative Commons