LA TERRA DEGLI ORCI

Terra, aria, acqua, fuoco. Mi ritornano in mente gli elementi della natura oggi, come tanti anni fa.

A risvegliare l’odore delle emozioni che mi toccavano da piccolo è stato un orciolo, che fino ad oggi chiamavo orcio, e che ho sempre visto nella casa dei miei nonni, poi in quella dei miei zii e poi, dopo tanto tempo, lo ritrovo adesso in un momento del tutto inaspettato.

Le terrecotte, con le loro superfici calde e ruvide, forme panciute e rassicuranti, erano per me, allora come oggi, fonte di affetto, di curiosità, di interesse profondo e di profonda riconoscenza. Orci, otri, giare erano enormi ventri dentro i quali, a volte, andavo ad isolarmi o a nascondermi giocando.

Vedevo fondersi, nella lunga lavorazione, i quattro elementi fondamentali e indispensabili alla realizzazione di un manufatto ad uso dell’uomo che veniva trattato con grande cura per farlo durare.

Forme immutate nel trascorrere del Tempo.

Così questo orciolo ritorna a parlarmi. Dopo tanti anni mi sembra ancora grande seppure lo ricordassi enorme, forse anche perché condizionato dalla fotografia che lo ritraeva insieme alla mia cuginetta.

Questo orciolo serviva per contenere l’olio che doveva bastare a tutta la famiglia per un intero anno. Ripercorro le tappe dei suoi brevi viaggi e approdo alla prima metà dell’Ottocento quando lui era già presente nella casa di Vincenzo, venuto da Deruta a lavorare come garzone dal mio bisnonno Giuseppe agli inizi della seconda metà di quel secolo. Il giovanotto, oltre alle sue braccia e alla sua bellezza, portò con sé anche l’orciolo che venne a far parte del corredo delle case dei miei nonni poiché il destino lo volle sposo delle vedove della famiglia. Così di letto in letto, di casa in casa, l’orciolo arrivò a mio nonno intatto come quando abili mani lo formarono ed in tanti poterono condire con l’olio che, preziosamente, custodiva.

Silenzioso, questo oggetto, racconta di sé e mi spinge a reagire, a mettermi in cammino per leggere e riscoprire la storia che spesso è davanti a noi e si racconta ma che non sempre siamo disposti a leggerla, meditarla, rielaborarla.

Quante volte avrò percorso, con la macchina, quella strada e solo adesso gli occhi colgono un cartello che invita alla visita del “Museo dinamico del laterizio e delle terrecotte” di Enzo Briziarelli, a Marsciano.

Piacevole la passeggiata nell’antico borgo, interamente costruito in laterizio, agevolata dal moderno ascensore che porta dritto al cuore dell’abitato. Spazi urbani a misura d’uomo e laterizi e terrecotte ovunque. Nell’antico palazzo Pietromarchi sono raccolti numerosi manufatti che segnano la linea della storia dall’età romana ad oggi.

Le terrecotte di uso comune, esposte, mi proiettano, ancora una volta, alla mia infanzia quando ancora erano presenti nelle case contadine: stufarole per cuocere le verdure e scolaverdure, leccarde per raccogliere il grasso dell’animale che veniva cotto e che insaporiva l’arrosto durante la cottura e poi, vaselle, boccali e orcioli. Ecco! Quello di mio nonno non era un orcio, ma un “orciolo biansato”, cioè con due bei manici ad ansa.

Pignatte con la loro ferratura, raccontano il recupero di questi oggetti quando venivano offesi dal troppo calore o  dagli urti perché nulla si buttava. Scopro che la cura preventiva voleva che la ferratura fosse eseguita da abili artigiani, ancora prima dell’uso della stoviglia per consolidarla e renderla più resistente; Marina Ruspolini Passerini, fu l’ultima artigiana esperta in questa operazione. Percorro spazi ordinati e didatticamente bene organizzati che raccontano le trasformazioni sociali legate all’attività dei cocciari che, in particolare dal 1500, ha caratterizzato l’economia locale. Storicamente il lunedi era il giorno del mercato ed ancora oggi è così anche se, naturalmente, profondamente mutato nella sua identità.

Un luogo di emozioni forti, evocative, nella luce e nei suoni; negli odori: l’olfatto attento sente ancora l’aroma dell’olio che ha impregnato la materia dei vecchi orci sui quali leggo inciso nella creta BIII a significare il contenuto di tre barili, circa 150 Litri.

La presenza delle fornaci Briziarelli segna fortemente l’economia del 1900 e, all’improvviso, davanti agli occhi appaiono i tanti elementi di edilizia che servono per costruire, rifinire e abbellire gli edifici e la scena urbana. Affascinanti “ricci” in terracotta, tegole, coppi e laterizi aiutano a comprendere meglio la bellezza espressa nelle chiese, nei palazzi fino ai remoti casolari spesso ingentiliti con questi motivi architettonici. Intorno a questo “orciolo del nonno” si sviluppa, così, un vero e proprio viaggio captato dalle antenne museali legate a questo polo di Marsciano, quindi via a Campignano e San Fortunato dove ritrovo le fornaci settecentesche per la produzione artigianale dei laterizi e, poi, a Spina che racconta i rapporti economici con Perugia e le tecniche di lavorazione pre-industriale. Un territorio che è museo! 

Mi lascio immergere nei metodi e nelle molteplici tecniche di produzione dei laterizi che sono rimaste vive nella memoria delle fornaci che ancora oggi lavorano e nelle infinite presenze architettoniche ingentilite e rese uniche da tanta espressione artigianale. Ma questo sarà occasione per un nuovo viaggio intorno ad un altro oggetto.





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