PONTIFICHIAMO

Come tanti anche io, dal famoso 14 Agosto, mi trovo a parlare, con amici e conoscenti, della tragedia che ha reso famoso il nome dell’ Ing. Morandi. Il crollo del ponte ci interroga su questioni fondamentali che vanno ben oltre la ricostruzione di un tratto di autostrada e che riguardano il senso del progettare e le responsabilità che ne derivano. Mi sono anche chiesto se fosse necessario che il nostro blog si esprima su questo argomento. In diverse occasioni, su queste pagine, ci siamo trovati a parlare dell’importanza della manutenzione delle  nostre case e della tutela del territorio.

A distanza di alcune settimane, ho la sensazione che l’insensato dibattito che si è scatenato dopo la tragedia non ci faccia vedere in una giusta ottica la fragilità del Paese, del suo sistema di infrastrutture e del suo patrimonio edilizio accanendosi nella ricerca di un colpevole, in un ridicolo rimpallo di responsabilità tra enti, società ed amministrazioni competenti. Si discuterà per anni senza arrivare ad alcuna conclusione. Il crollo di Genova ci riporta, invece, a cogliere l’occasione per una grande riflessione sulla cultura del progetto, sulla responsabilità sociale e ambientale e sul futuro del nostro Paese.

 Sulla questione della sicurezza dei nostri edifici si dibatte da anni. Nel 1999, il Congresso Nazionale degli Architetti tenuto a Torino, aveva stabilito alcuni punti fermi circa le proposte fondamentali che si ritenevano opportune e necessarie per il nostro Paese. Tra questi spiccava il tema della “Sicurezza e Trasparenza degli Edifici”. Per l’occasione, e per sensibilizzare l’opinione pubblica, fu redatto un manuale di facile consultazione che fu pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche affinché il grande pubblico venisse coinvolto nella conoscenza di questo problema.

Il piccolo manuale intitolato “Sicurezza degli edifici” conteneva gli aspetti fondamentali della sicurezza delle nostre case e mi fu molto utile per promuovere, presso i miei ragazzi a scuola, una attenzione alla salute delle proprie case, riscuotendo un seguito molto propositivo: come tanti piccoli ingegneri i ragazzi riportavano sul loro quaderno anomalie e sospetti presenti nelle loro case e nei loro palazzi. Diffondere la cultura della sicurezza non è così complicato ed impossibile e questo è il significativo segnale che in Italia manca la cultura della salvaguardia ambientale proprio perché, evidentemente, non è sentita nelle cellule più piccole: la famiglia e la scuola.

Innanzitutto prima di esprimere giudizi e pareri fuori luogo dobbiamo prendere il contesto storico nel quale le nostre strutture sono state realizzate: nello specifico del cemento armato non possiamo sicuramente confrontare le moderne tecnologie con quelle dell’immediato dopoguerra. nelle quali la qualità del cemento e dei ferri di armatura hanno caratteristiche fisiche e meccaniche completamente diverse da quelle attuali. Una per tutte basti pensare  alla realizzazione dei tondini ottenuti fondendo il metallo recuperato da materiale in disuso del periodo della guerra.  Così, per tornare al nostro ponte, è doveroso dire che è una struttura progettata negli anni Sessanta quando il traffico era diverso ed erano diverse le stesse norme progettuali. Il ponte di Genova è una delle infrastrutture che hanno reso famoso nel mondo il genio dell’Ingegneria italiana come anche la diga del Vajont, la straordinaria struttura legata anch’essa ad una tragedia che non ha nulla a che vedere con il tipo di opera, ma sulla mancata valutazione delle ricadute che avrebbe avuto nell’ambiente. Non c’è manuale tecnico che non riporti immagini di questo ponte del quale avremmo dovuto averne una cura diversa. Probabilmente questa tragedia riapre il dibattito sull’importanza del monitoraggio costante o permanente delle strutture rimandando a quella che chiamiamo “manutenzione secondo condizione”.   L’analisi delle strutture edilizie può essere fatta in modo molto semplice da tecnici –Ingegneri e Architetti- opportunamente preparati.

Io credo fermamente che nella progettazione di una struttura, al di là dell’aspetto tecnico, valga molto la pianificazione delle revisioni e della manutenzione. In Italia abbiamo uno straordinario patrimonio edilizio –gran parte, ad onor del vero, di dubbia qualità architettonica- che abbiamo il dovere di curare; partendo dalle opere ad alto rischio  a quelle con un rischio più basso. C’è lavoro per tutti! Quello che manca sono serie politiche ambientali e un forte senso di responsabilità; basti ricordare la triste storia del Fascicolo del Fabbricato che avrebbe garantito una mappatura dello stato di salute delle nostre case eppure, gli italiani, appena deliberata la “non obbligatorietà” non hanno esitato a revocare gli incarichi affidati ad Ingegneri ed Architetti nella visione di una “spesa inutile”.   Mi intristisce sentire, da quel tragico 14 Agosto, parlare di Riccardo Morandi quasi fosse un tecnico sprovveduto. Non possiamo leggere la sua opera con gli occhi di oggi che sono attenti a vedere fin dalla fase progettuale, la necessità di più competenze. la progettazione attuale si  muove tra innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale e deve tener conto di confini che non possono essere valicati come i cambiamenti climatici e il consumo del territorio.

La progettazione dell’autostrada con il suo ponte negli anni Sessanta lanciava la nostra economia tra le più potenti del mondo: vedere questa opera con l’occhio di chi era da poco uscito dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale aiuta a comprendere quanto doveva essere forte questa immagine che aveva del fantascientifico. Oggi possiamo realisticamente immaginare un ponte pensato come una grande infrastruttura multifunzionale non solo orientata a risolvere i problemi della mobilità su gomma ma in grado di riqualificare l’area con vere e proprie piattaforme di verde, con piste ciclabili, capaci di generare energia grazie al sole e al vento.

Ma mai potrà lanciarci nel sogno come ha fatto il ponte di Morandi.





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