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caro boris…

Sabato sera siamo stati ospiti da un amico che vive in una bellissima casa. Una enorme vetrata si apre su uno splendido panorama e gli occhi si ubriacano di verde e di natura e la terrazza si slancia nel vuoto relazionandoti con il paesaggio. Uno spazio veramente interessante che esprime la personalità del proprietario. L’architetto ha fatto un bel lavoro, onesto e corretto… eppure il cliente non è soddisfatto. Parlare con lui è stato davvero difficile ed il confronto faceva corto circuito. Un modo di pensare e di vedere la progettazione dello spazio che sembra in antitesi con la contemporaneità. Gli sforzi dell’architetto che hanno conferito un plus valore al bene, con una particolare attenzione al benessere di chi ci vive, venivano in due parole vanificati.

Il proprietario ha definito l’intervento architettonico “accademico”. Il che, un po’, è vero: la progettazione risponde a canoni ormai standard che qualunque architetto può applicare. Comunque nel complesso l’opera è degna espressione del XXI secolo. Si sarebbero potute dire tante cose durante la cena– anziché cadere nelle banalità – e mi pento di non averlo fatto.

Il movimento moderno ha consegnato al XXI secolo i risultati di una lotta che ha sconfitto i canoni accademici: la proporzione, la prospettiva, l’idea di un’architettura “finita” e perfettamente eseguita, consolatoria.

Il decostruttivismo ci ha liberati dal dover realizzare a forza forme geometriche inviolabili e incontaminate, emblemi di stabilità, armonia, ordine, unità.

Osservando le forme di quella casa, per certi versi ancora incompiuta- pensiamo all’ingresso/camera ancora non risolto – si apprezzano le forme impure, miscugli di etimi e motivi. L’architetto non ha perseguito astratti valori sovrastrutturali, ma ha accumulato vocaboli e li ha risistematizzati.

Le forme e gli spazi di questa casa si inseriscono con discrezione  sul terreno in declivio e non hanno niente di retorico e autoreferenziale; niente di pretenzioso e di sola apparenza… e proprio questo è ciò che non piace al padrone di casa.

Analizzo  il nostro modo di essere architetti.

Da sempre la nostra attenzione si è concentrata nell’evitare di snaturare un interno che ci viene chiesto di riprogettare. Ed è questo che ci piace della casa del nostro amico: i volumi ”spontanei” realizzati secondo canoni popolari, ancora possono essere letti e interpretati in un linguaggio contemporaneo.

Perché questo desiderio, così forte nelle persone, di cancellare definitivamente ciò che è stato e costruire il nuovo? La distruzione è funzionale alla cancellazione totale di un periodo che và “raso al suolo” nella memoria collettiva.

Quello che dà anima e vita ad una casa è raccontato proprio da ciò che viene salvaguardato e contestualizzato. Tra gli ultimi lavori che abbiamo realizzato, la casa di Simonetta,  è quello che più ci aiuta a capire il concetto di memoria.

Il pavimento in gettata alla veneziana è stato completamente recuperato, gli spazi aperti raccontano materiali e forme degli anni ’50.  La struttura in cemento armato, liberata dell’intonaco, mostra la texture delle tavole di legno delle casseformi. I vecchi termosifoni in ghisa e le tubature esterne sono stati trattati in modo da esaltarne il valore.

Rispondono a questi linguaggi le nuove porte in ferro e vetro che aiutano a potenziare la dimensione degli spazi.

Il tema della memoria e della costante ricerca delle proprie origini è rappresentato simbolicamente dall’immagine della casa di Simonetta. Più volte vicina l’idea di cambiare casa, vendere e comprare, ha fatto maturare in lei il pensiero di non abbandonare quegli spazi che l’hanno vista bambina: quelle mura che hanno ascoltato tante cose della sua famiglia, e che non racconteranno mai a nessuno se non a lei che ancora le vivrà.

Quante discussioni in famiglia, quante telefonate fiume fatte lì, in quell’angolo. Quanti pianti per un amore non riuscito, quante risate fatte in una festa con gli amici. Tutto può essere raccontato e, allora, perché rimuoverlo per sempre?

Questa casa conserva una metaforica espressione dell’identità individuale e collettiva della famiglia e degli amici di Simonetta. Forse è per questo che, chi è caro alla nostra amica, entrando in questa casa un po’ si emoziona!

Caro Boris, quando si parla di architetti, c’è tanto da dire.

 





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