Le mani sulla città

Qualche sera fa tra le mail che mi sono state recapitate ho letto quella del nostro amico Gino:

“Vi segnalo questo video  che mi ha lasciato sconcertato. Anche se non abbiamo creato noi questo scempio, credo che in qualche misura anche noi contribuiamo con il nostro stile di vita ad alimentare il sistema che permette ad una città, che in 15 anni non è cresciuta demograficamente, di cancellare tanto verde a favore di case e cemento. So che condividete il mio sconforto”.

roma nord-colle salarioSì! Condividiamo lo sconforto del nostro amico perché lo scempio di cui parla è la cementificazione –selvaggia o legalizzata che sia, sempre selvaggia è!- che violenta incessantemente il nostro Territorio. Unacasanonacaso sostiene che Un altro modo di vivere è possibile partendo proprio dalle nostre case, dai nostri stili di vita.

Quello che mi lascia ancora più turbato è leggere, tra i commenti al video, che qualcuno si soffermi a puntualizzare la poca attendibilità di alcune immagini che segnalano una cementificazione di dimensioni poco probabili. Forse il bandolo della matassa va ricercato proprio nell’evitare questo atteggiamento mentale: al di là dell’attendibilità del video il dramma della cementificazione, e della mentalità speculativa, è sotto gli occhi di tutti noi e, soprattutto, è innegabile. Ettaro più o ettaro meno, il Territorio è sconvolto.

Benedetto Croce espresse un pensiero che dovrebbe essere il life motiv della nostra quotidianità e che ci aiuta a comprendere bene il nostro essere italiani: “Il Paesaggio è la rappresentazione materiale e visibile della Patria”. Quanto si dovrebbe riflettere su queste parole.

Non è possibile entrare in possesso di dati circa la situazione attuale e retrospettiva del consumo del suolo. Dati di questo tipo non sono mai stati raccolti ed elaborati in modo scientifico e sistematico; pertanto risulta arduo stendere una mappatura di confronto effettivamente efficiente. Ma il dato di fatto è che la modalità di gestione del Territorio è effettiva espressione del nostro essere italiani e dell’amore che noi non nutriamo più nei confronti del patrimonio artistico ed ambientale in nome del profitto economico.

Le radici vanno ricercate in una legislazione ferma al 1942. Dal dopoguerra ad oggi la trasformazione del nostro paesaggio ha subito una serie di accelerazioni dovuta alla ricostruzione post-bellica e all’avvento della nuova tecnologia del cemento armato. Poi il boom economico, demografico e dell’immigrazione; la nascita delle famiglie mononucleari e poi il bisogno delle grandi infrastrutture e una politica che ha promosso la motorizzazione di massa. Il trasporto su gomma ha avuto la meglio su quello su rotaie.

I piccoli borghi e paesi, così come i centri delle città, sono stati letteralmente abbandonati in cerca di una migliore condizione di vita o per andare incontro ad abitazioni più funzionali. Su tutto questo ha avuto la meglio la spinta speculativa. Un processo di espulsione dalle zone storiche ha determinato la crescita di una mobilità che rende problematica qualsiasi strategia di trasporto pubblico di massa.

Ecco quindi il consumo del suolo con la progressiva trasformazione di aree naturali mediante149118-thumb-full-rosi_sacro_gra_05_09 la realizzazione di costruzioni ed infrastrutture  dove il ripristino dello stato ambientale non è più reversibile.

Noi con i nostri stili di vita abbiamo contribuito a tutto questo. Tutti noi!

Il paesaggio è frammentato ed ha perduto qualunque assetto idrogeologico. La percezione umana ed identitaria nel più autentico senso socio-culturale è mortificata.       La qualità sociale si impoverisce sotto la frammentazione delle aree sempre più isolate ed emarginate.

Le associazioni ambientaliste sono sempre in azione e sarebbe opportuno condividere i loro appelli; non ultimo quello del WWF che ha lanciato l’iniziativa “RiutilizziAMO l’Italia” invitando tutti i cittadini ad aderire all’appello NO al consumo del suolo, SI al riuso dell’Italia”. L’iniziativa è entusiasmante perché si punta alla riqualificazione delle aree e dei manufatti dismessi disincentivando il consumo del territorio. E’ ora di educarci al recupero! Non abbiamo bisogno dei nuove abitazioni perché il nostro patrimonio immobiliare inutilizzato conta una enorme cubatura. Anche la mia scelta professionale è stata quella di concentrarmi sull’azione del recupero, su progetti di ristrutturazione delle case esistenti, forse scelta meno redditizia ma sicuramente più “etica”. Ci sarebbe lavoro per molti uscendo dalla logica delle grandi imprese che monopolizzano la gestione delle nostre città e delle nostre vite.

Puntare sulla propria casa, comprendere che l’investimento economico più grande sta nel riqualificare gli spazi in cui abitiamo migliorando la qualità della nostra vita. Urge una normativa nazionale sul governo del suolo con disposizioni che abbiano come priorità la riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente attraverso l’uso della leva fiscale e, soprattutto, individuare le misure che consentano di investire anche sul patrimonio privato che non è soggetto alla necessaria manutenzione.

Mi direte: “Massimo, ma tu sei di parte!”.

“Sì!”

 

 





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